Dov’è il confine
tra la sofferenza antica
e quella di oggi?
Dov’è il confine
tra l’amore di un tempo
e quello di oggi?
Cosa è veramente reale
negli abissi dell’anima
dove l’antico e il nuovo si fondono?
È davvero buono colui che sorride
perché non sa affondare il cuore
nel dolore?
È davvero cattivo colui che va in collera
perché sa vivere appassionatamente
il dolore?
E il dolore
da dove e da chi arriva?
Possiede forse un confine o un confronto?
Non c’è confine, né confronto.
Siamo soli nell’esperienza del dolore
come nell’esperienza dell’amore.
Ognuno in sé,
nel profondo linguaggio dell’anima,
può colorare la vita di tenebra o luce.
E non lasciamo che un altro ci dica:
“ti capisco”.
E non andiamo a dire ad un altro:
“ti capisco”.
Quando ci sentiamo capiti
l’anima lo sa.
Sempre lo sa.
Senza parole lo sa.
Siamo soli di fronte al muto linguaggio
che dalle sorgenti della vita si leva.
Solo un battito d’ali
può lenire il pianto
che solitario s’alza dalle antiche fonti.
Ali di angeli
che muti osservano
ciò che a loro è così noto.
Le lacrime sono il loro sorriso,
perché c’innalzano a loro,
all’azzurra dimora che loro preparano
per quel giorno in cui le lacrime
non saranno che un dolce ricordo
di giorni vissuti
per fecondare i loro sorrisi.
Soli siamo,
col sussurro di ali di angeli
per compagnia.