Autore: Loretta Martello
Incontrare se stessi per incontrare l’altro
“La legge degli Specchi”, uno strumento tramandatoci dagli Esseni – un popolo di grande levatura spirituale, vissuto circa 2000 anni fa nei pressi del Mar Morto – è stata codificata da Gregg Braden, geologo informatico e studioso di scienze spirituali. Essa ci consente di riconoscere nella nostra vita il funzionamento degli Specchi. Comprendendo come tutta la realtà attorno a noi non è che un riflesso di ciò che noi siamo interiormente, arriviamo a sviluppare empatia, gratitudine, perdono, compassione, poiché riconosciamo in tutte le nostre relazioni e nelle situazioni che ci troviamo a vivere, qualcosa che è parte di noi stessi. La comprensione della legge degli Specchi, chiamata anche “principio di Risonanza”, permette un graduale risveglio della nostra coscienza, man mano che aumenta la consapevolezza di noi stessi e la certezza che tutto quanto ci accade è in sé buono e perfetto.
Il solstizio velato (21 giugno 2024)
Qualcosa accadde nel cielo il giorno del solstizio d’estate, il giorno in cui la Luce è al massimo del suo splendore. Tale giorno abbracciava quest’anno il sorgere della Luna Piena, e quanto avrebbe dovuto accadere allo sguardo dell’uomo era una chiarità completa del giorno e della notte, un’assenza quasi totale di oscurità.
Il 21 di giugno porta il Sole in culminazione e la Luna Piena appare all’orizzonte d’oriente quando il Sole scende a occidente. Dovevano esserci quindi un giorno e una notte pieni di Luce in quel momento solstiziale, 24 ore di pieno chiarore che tutti attendevamo.
Ma quest’anno, nel giorno luminoso che apre la porta a San Giovanni e a ciò ch’egli dona quale messaggero del Cristo/Sole, quest’anno il Sole rimase oscurato da una fitta coltre grigia diffusa in gran parte dell’Europa. A questa strana oscurità, molto diversa da un semplice cielo nuvoloso (sabbia del deserto? scie chimiche?), si aggiunse un forte e inquietante boato (meteorite? prove militari sottomarine?) percepito in Toscana e parte dell’Emilia-Romagna.
I dibattiti che seguirono sui media non hanno portato chiarezza a questo strano fenomeno. La discussione verteva sulle cause naturali o materiali dei fatti. Era sabbia o era sostanza chimica? Era una stella cadente o erano prove militari?
Io mi trovavo in vacanza in Istria, in un luogo che amo per la freschezza dell’aria e il colore limpido di un mare circondato da verdeggianti boschi. Ma in quel giorno privo di sole, l’atmosfera era estremamente pesante, mi sembrava di respirare dei gas e avvertivo un’oppressione al cuore, mentre quel grigiore denso ed esteso sembrava lo specchio del buio dell’anima.
La gente più giovane non vi fece caso, occupata com’era a cercare modalità di divertimento alternative ai tuffi in mare, mentre qualcuno tra i più anziani pronunciava frasi del tipo: “oggi è una giornata terribile…”, “questo cielo fa paura…”, “ah, non c’è più il mare di una volta…”
Il verde azzurro del mare s’era fatto grigio come il cielo, i contorni delle coste rocciose sembravano sfumare in un’indefinita densa sostanza.
Ascoltai con curiosità le poche notizie diffuse dalla narrazione ufficiale e quelle della controtendenza.
Ma non sentii nessuno soffermarsi sul significato spirituale di quell’evento. A quattro anni e mezzo dall’inizio di ciò che possiamo definire una prova d’iniziazione per l’umanità, ha ancora senso discutere se ciò che accade è colpa dell’uomo o colpa di eventi naturali? È così raro ancora purtroppo, l’osservare i fatti dal punto di vista di ciò che va al di là del visibile. Non possiamo pensare che sia un caso se nel giorno dell’anno in cui il Sole e la Luna dovevano raggiungere la massima luminosità, ci sia stata invece questa pesante oscurità. Non è un caso se la gioia dell’inizio d’estate si è trasformata in uno sguardo d’ombra, in un’insolita inquietudine.
Mentre cercavo di cogliere la natura delle mie percezioni, mi arrivò l’immagine del Golgota, quando alla morte di Gesù il cielo si oscurò e si udì un forte boato. Era un venerdì anche allora, proprio come in questo solstizio.
E poi ancora le parole del Vangelo: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria… quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte…” (Mc. 13, 24-29).
Non so se l’oscuramento del sole, della luna, il boato, la stella cadente (?) del 21 giugno siano eventi che possano avere un’affinità con i grandi fatti profetici narrati nei Vangeli o con le visioni della passione riportate dai mistici, tuttavia, poiché tutto ciò che succede ha un significato simbolico e tutto è voluto e saputo dai Mondi Superiori, si può vedere un’analogia con i fatti accaduti.
Anche se è giusto chiedersi se ciò che accade dipende dall’uomo o dalla natura, si potrebbe però anche spostare su un piano immaginativo e simbolico le nostre domande: come parlano questi fenomeni alla nostra interiorità? Come reagisce l’anima all’oscurità del cielo? Riconosce in essa ciò che le “vela” il Sole interiore?
Il Sole che vediamo nei cieli è racchiuso in piccolo anche nel nostro cuore. Il Sole fisico è la manifestazione del Sole spirituale e nel nostro cuore ne portiamo un piccolo raggio.
Una possibile lettura di questo insolito solstizio è che da quei Mondi ci sia stata data ancora una possibilità (tra le molte che abbiamo avuto in questi quattro anni) di guardarci dentro, di racchiuderci nel nostro Cuore-Sole e lavorarci intensamente affinché le ombre della nostra anima non abbiano ad oscurarlo. Un invito a guardare, guardare ciò che ancora offusca questo nostro Sole interiore, questo nostro Sé, che vuol dileguare le oscurità dell’inconsapevolezza e far maturare la nostra coscienza affinché si elevi al Cristo/Sole.
E se si chiedesse: perché proprio in Europa e in Italia? Si può rispondere che l’Europa e l’Italia sono chiamate a svolgere i più grandi compiti spirituali di questo quinto periodo di cultura.[1]
Credo che tutto ciò che accade al di fuori di noi, sia nella natura con alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche… sia nella società dove la menzogna e la disidentificazione dell’essere umano stanno per raggiungere un baratro spaventoso, non sono altro che stimoli al risveglio dell’anima, all’incontro con il Sé Superiore.
E se questo solstizio oscurato ha voluto raccontarci qualcosa del nostro Sé oscurato, mettiamoci subito all’opera. Ci attendono altre prove ed è necessario tutto il nostro coraggio, la nostra forza morale e uno sguardo limpido e onesto verso noi stessi, uno sguardo che squarci il velo degli inganni e riscopra il Sole della Verità.
[1] Dalla Scienza dello Spirito sappiamo che il quinto periodo di cultura, o epoca germanica, è iniziato nel 1413 e si concluderà nel 3573. È chiamata anche epoca dell’Anima Cosciente, e il suo impulso principale si manifesta nei paesi del centro Europa.
Domenica di Pasqua
Commento sugli eventi della Pasqua – Resurrezione secondo i principi della Scienza dello Spirito di R. Steiner.
Atmosfera di Pasqua – Sabato Santo
Commento sugli eventi della Pasqua – Resurrezione secondo i principi della Scienza dello Spirito di R. Steiner.
Atmosfera di Pasqua – Venerdi Santo.
Atmosfera di Pasqua, Giovedì Santo
La natura psicospirituale della Comunità (parte seconda)
Tratto dal libro: “L’Impulso Femminile per i Tempi Nuovi”
Possiamo vedere in questi tempi oscuri come l’attacco al Buono, al Bello e al Vero stia raggiungendo limiti estremi. Tale attacco porta all’offuscamento del valore morale che può definirsi come la sintesi dei tre: il Giusto. La Giustizia non si sa più cosa sia.
La menzogna galoppa ingannando le anime più deboli, che purtroppo sono la maggioranza, e crea confusione, disaccordo, divisioni e separazioni.
La Bontà è stata sepolta dalla finta bontà, il bene viene scambiato per male e il male per bene, in una poltiglia d’immoralità che fa rabbrividire coloro che cercano la Verità.
La Bellezza è lacerata in immagini frammentate e finte e da pseudo opere artistiche dove l’orrido è esaltato e il naturale violentato.
L’innocenza che forma la purezza e apre lo sguardo alla meraviglia è oltremodo calpestata. Il tutto è propagato dai media, dalle mode e dal travisamento costante di ciò che è essenza, purezza, semplicità, spontaneità.
Stare nel proprio Centro è sempre più difficile e richiede uno sforzo costante. E tuttavia la Natura intorno a noi continua a raccontarci di ciò che è Buono, Bello e Vero; e i bambini nuovi che approdano in questo pianeta, esprimono già queste qualità nel loro sguardo, come pure lo esprimono alcuni animali.
Se vogliamo toglierci dall’immoralità dilagante, basta osservare con attenzione le leggi della natura intorno a noi. E semplicemente chiedersi: chi presiede a quelle leggi? Chi muove la Terra e il Sole e l’intero Universo secondo una precisione e un’aderenza a princìpi a noi sconosciuti eppure così perfetti da non farci dubitare di nulla? Nessuno di noi dubita infatti che il Sole un mattino si dimentichi di sorgere o che la Luna piena non torni il giorno dopo a farsi calante; nessuno dubita che in primavera le piante non tornino a fiorire o che un bambino non nasca dopo nove mesi di gestazione. Nessuno mette in dubbio che un essere umano non sappia parlare, non sappia pensare, non sappia camminare… Perché non lo mettiamo in dubbio? Perché abbiamo tutti questa certezza nelle leggi della natura? Uomini buoni e uomini malvagi ne hanno la stessa certezza, la differenza è che i primi osservano il tutto con meraviglia e gratitudine, i secondi danno tutto per scontato.
Oggi, una gran parte dell’umanità è arrivata a un tale livello di perversa certezza da ritenere che tutto ciò che esiste ci sia dovuto. Essa sfrutta le sacre leggi della vita per i propri bisogni, si arrabbia se piove perché la pioggia limita lo svago, o si arrabbia con il sole estivo perché fa troppo caldo. E dimentica, oh, quanto spesso dimentica, che nulla esisterebbe senza la pioggia e senza il sole. E soprattutto dimentica di essere parte di quella Comunità che si chiama Terra, e di un’altra che si chiama Sistema Solare e di un’altra che si chiama Universo. Dimentica che ognuno di noi è parte di quell’Uno. Dimentica che un’offesa ad un altro essere vivente ha ripercussioni su tutti gli esseri che popolano la Terra e la vita oltre la Terra, dimentica che ogni piccola azione, ogni pensiero e ogni sentimento influisce su tutto ciò ch’esiste.
Questo e molto altro ha portato all’egoismo e al conseguente materialismo in cui siamo immersi e dal quale possiamo risorgere soltanto attraverso la consapevolezza che tutto è governato da leggi spirituali. Dovremo per prima cosa cercare lo Spirito in noi stessi, e successivamente cercarlo negli altri per formare Comunità.
Lo Spirito vivente nell’Io Superiore di ogni uomo vede e scorge i bisogni dell’altro uomo e degli altri esseri viventi, e li riconosce come propri, perché riconosce l’Uno a cui apparteniamo.
In ogni Comunità, piccola o grande, anche soltanto quando si tratti di una famiglia, ciò che unisce è l’affetto e l’attenzione che ogni membro ha per l’altro, e la capacità di rinunciare a qualcosa di sé perché l’altro a sua volta trovi spazio per la propria espressione. Anche in una piccola Comunità, quale è la famiglia, l’egoismo di uno dei membri può portare sofferenza agli altri, e questo a poco a poco può condurre al suo disfacimento. Ed è quanto oggi succede sempre più spesso.
La confusione nelle relazioni, che ha come base la ricerca caotica del proprio benessere e il mancato riconoscimento delle necessità dell’altro, ha tuttavia un suo aspetto positivo. Fa tutto parte del grande cammino che la coscienza umana sta compiendo per approdare a se stessa. Se solo ci si ponesse le prime domande: perché mi è successo un certo fatto? Perché mi arrabbio così tanto? Perché sono così inquieto? Perché questo incidente o questa malattia?
Se solo si cominciasse con qualche perché, con qualche semplice domanda, si aprirebbero le porte a tutte le altre domande sul senso della vita e sull’essere dell’uomo, si aprirebbe la Porta che conduce al Conosci te stesso, e subito dopo, spontaneamente, la Porta che conduce all’altro. Così nascerebbe il principio di ciò che può in seguito costituirsi come Comunità. Quando viene raggiunta una piccola dimensione del proprio Sé, nasce naturale il desiderio di incontrare un altro Sé, il desiderio di condividere, creare, formare qualcosa di Nuovo, qualcosa di Più.
L’essere insieme quali individui liberi, porta una forza che può davvero creare nuovi mondi. Quei Mondi attendono di essere creati. Le Gerarchie Angeliche guardano con trepidazione a questo nostro agire nel Nuovo e nel di Più, e questo è possibile soltanto se si è insieme, soltanto se si cominciano a formare vere Comunità.
Comunità non significa necessariamente vivere insieme negli stessi spazi abitativi, ma significa condividere le stesse dimensioni del cuore e della saggezza che lì vi risiedono, e attraverso esse sviluppare un’idea comune e operare un progetto comune.
Nei tempi passati, molte civiltà hanno realizzato la vita comunitaria. Alcune di esse sopravvivono ancor oggi. Gruppi aborigeni, nativi americani, “gilde” medioevali, Comunità spirituali come i Catari e gli Albigesi in Francia, per citare solo alcuni esempi, sono state sempre supportate dalla legge del Munus, ossia dell’impegno morale verso gli altri.
Può conciliarsi oggi la necessaria ricerca di sé, del conoscere se stessi, del trovare la propria individualità, con ciò che può definirsi il rinunciare a sé, il superare se stessi?
Sì, può conciliarsi, perché trovare se stessi è vedere nell’altro se stessi.
Vedere nell’altro vuol dire riconoscere in tutte le nostre relazioni, soprattutto in quelle che più ci fanno soffrire, le parti della nostra anima che ancora devono maturare per rafforzarsi nello Spirito. Riconoscere che la vita esterna a noi è uno specchio che riflette con grande saggezza ciò che interiormente siamo, porta a grandi passi verso il raggiungimento di quel Centro da cui poi irradia l’amore per l’altro.
Nelle Comunità del passato era meno necessario questo lavoro di autoconoscenza, perché esse si formavano sulla base di una fratellanza che conteneva in sé una sorta di moralità naturale, di naturale solidarietà, la quale tuttavia si levava progressivamente ad alti livelli morali. Tali altezze morali hanno permesso lo sviluppo culturale e spirituale. Dove gli uomini lottano l’uno contro l’altro non ci può essere vera civiltà. È dimostrato che persino nel mondo animale le specie che progrediscono sono quelle i cui membri si aiutano l’un l’altro e non quelle in cui c’è lotta per la sopravvivenza.[1]
Oggi, tuttavia, l’autoconoscenza è assolutamente necessaria. Viviamo nel tempo dell’”Anima Cosciente” e la Comunità deve assumere le caratteristiche di questo tempo, ossia del tempo in cui l’Io dell’uomo s’immerge nella propria interiorità, si centra in se stesso, riconosce le proprie forze e sviluppa le proprie iniziative e i propri talenti.
“La persona… che discende nel proprio essere interiore, dove sono da trovarsi le sorgenti delle forze, si svilupperà in una persona forte e capace e in lei ci sarà una maggiore capacità di servire gli altri che non in chi si conforma a ogni tipo di influenza che proviene dai suoi dintorni.”[2]
Le trame dei Poteri Oscuri fanno di tutto per negare l’accesso all’interiorità attraverso la soppressione di quanto richiama ad essa, soprattutto l’esperienza del dolore e l’impegno nella conoscenza. Oggi non si vuole soffrire più, né si vuol fare fatica per imparare qualcosa di nuovo, qualcosa di sé. E così ci si vende al male convinti che questo sia bene.
Ma le anime che coraggiosamente non si sono sottratte alle esperienze dolorose, e quelle che hanno percorso i sentieri della conoscenza attraverso le proprie esperienze, vivendole e comprendendole fino in fondo, a queste anime è concesso di unirsi in fratellanza e di formare la nuova Comunità del futuro.
La Comunità del futuro si basa sull’individualità raggiunta grazie alla socialità e la socialità realizzatasi tramite l’individualità.
Dove il comunismo ha imposto la socialità con il terrore, e il nazismo ha esaltato l’individualità con altrettanto terrore, la via del futuro è quella che unisce le due correnti, l’individualità e la socialità, perché ne comprende la similitudine nell’essenza: io sono quello, io sono te, tu sei me.
Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (Gv. 15,12). Nel massimo insegnamento di Gesù c’è tutto ciò che oggi attende di essere attuato. Se amo te e in te mi riconosco, io raggiungo me. Se raggiungo me non ho nulla per cui dovermi difendere da te, perché so che tu sei me.
Naturalmente tutto questo richiede maturità, grande coerenza morale e profonda integrità. Siamo ancora all’inizio, tutto questo avrà piena realizzazione in un tempo abbastanza lontano.
La Scienza dello Spirito insegna che il suo autentico realizzarsi sarà a partire dall’anno 3573, tempo della sesta epoca di cultura, o epoca Slava, chiamata nell’Apocalisse “Comunità di Filadelfia”. Quella sarà un’epoca dove il principio della Sofia, la Divina Sapienza, che è anche il divino amore femminile, sarà maturo. Tuttavia, ci sono ragioni molto profonde perché si debba cominciare ora a portare gli impulsi per questa determinante epoca futura. Il primo è che ogni epoca fa fruttificare i semi posti nell’epoca precedente; pertanto, il momento di deporre quei semi è ora. Il secondo è che il tempo non è così lontano. Dal punto di vista delle incarnazioni umane, esso dista da noi ancora due o tre esistenze, due o tre incarnazioni, e ogni incarnazione, sappiamo, corre veloce. Quello che non riusciamo a sviluppare oggi, saremo costretti a farlo nelle prossime esistenze con prove maggiori. E coloro che non riusciranno si avvieranno sulla strada dell’abisso, l’umanità si dividerà in due, l’umanità bianca e l’umanità nera. Già oggi si vedono gli albori di questo divenire dell’uomo e comincia a diventare sempre più visibile quel mondo invisibile che trama nell’ombra con inganni, illusioni e menzogne.
Dobbiamo scegliere con chi stare. Dobbiamo riconoscere il vero bene. Il bene dell’Anima che tende verso il suo Sposo, il bene dell’Anima Cosciente che dialoga con l’Io Superiore, in un’unione matura che diviene unione con gli altri.
Il sorgere di Comunità oggi spesso incontra fallimenti. E questo è abbastanza naturale perché l’ideale non è sostenuto da un’adeguata forza dell’anima, spesso chi cerca una vita comunitaria cerca rifugio e protezione, cerca l’ideale della madre buona che non ha avuto o di fratelli che siano privi di rivalsa o gelosie. E se la carenza, il vuoto, il problema relazionale non viene risolto all’interno di sé, viene proiettato senza filtri su coloro che hanno più saggezza ed esperienza (proiezione delle dinamiche con i genitori) o su chi viene visto come migliore (invidia tra fratelli).
La dinamica famigliare si sposta senza l’intervento della coscienza sugli altri membri della Comunità, il piccolo bambino interiore strilla per i suoi bisogni, l’ego batte i pugni e cerca negli altri la colpa delle sue ferite.
Così all’interno dei vari tentativi di formare Comunità oggi, si creano spaccature profonde, dolorose scissioni, abbandoni rabbiosi ed improvvisi.
E tuttavia, nonostante questo, la Comunità rimane l’ideale dell’oggi, del prossimo futuro e del futuro lontano, il mezzo evolutivo più completo e insieme la meta ultima.
Tre grandi valori vissuti nell’azione concreta possono costituire i pilastri della Comunità: la fratellanza, la gratitudine, il perdono.
Fratellanza:
Tale termine è stato spesso usato e forse abusato dalle nostre chiese. Certamente non è sbagliato, ma ha rischiato di cadere nell’assenza di significato, assieme ad altre assenze che la chiesa ha portato. Il desueto modo di concepire la vita attraverso dogmi o sensi di colpa, ha avvizzito anche ciò che avrebbe potuto divenire fecondo. La fratellanza del futuro è naturalmente una fratellanza d’anima, una comunione che sia altrettanto intensa nell’anima quanto lo era quella del sangue nel passato.
Essere fratelli di sangue vuol dire nascere nella stessa casa, dagli stessi genitori, vuol dire trascorrere l’infanzia e l’adolescenza insieme, vivere delle stesse forme educative, portare in sé caratteristiche ereditarie simili. La fratellanza d’anima, rispecchiandosi sul piano superiore a quello del sangue, fa nascere insieme nel mondo una nuova “casa”, fa essere figli di uno stesso ideale, fa trascorrere il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza interiore per crescere insieme giocando, sperimentando, cantando, studiando, lavorando… E al posto del legame dato dall’eredità fisica, riconosce l’eredità spirituale come la certezza del legame che ha avuto origine dalla stessa dimora nell’universo prima di scendere in questa vita terrena.
Tale fratellanza ha come fondamento la Gioia, poiché niente è più bello che riconoscersi appartenenti alla stessa sostanza spirituale. Questo non significa, come accade tra fratelli di sangue, che non ci possano essere momenti di tensione o di discussione, ma il tutto avviene senza la collera, a volte vendicativa, che non vede nell’altro il vero suo essere, perché troppo accecata nel difendere il proprio. La collera, qualora dovesse esserci, dovrebbe muovere soltanto da un sentimento di giustizia; pertanto, nel suo fondamento dovrebbe tendere verso la Verità e la Libertà. Ma nell’autentica fratellanza questo non è difficile da raggiungere, poiché ognuno può comprendere attraverso l’altro anche le proprie debolezze, i momenti di caduta, di fragilità o stanchezza, e pertanto incontrarlo sul piano della comprensione e della compassione, non nella rabbia cieca che spesso maschera la mancanza di pace in se stessi.
Poiché è proprio la pace l’elemento che caratterizza la fratellanza, essa induce in maniera naturale un atteggiamento mite nei confronti dell’altro, e laddove abbia a verificarsi una mancanza, può nascere la capacità di porgere aiuto, la solidarietà sul piano pratico e su quello affettivo.
Colui che sente l’altro come fratello porterà sempre nel suo cuore il desiderio di offrirsi, di porgere aiuto. Non potrà farsi notte prima che sia raggiunto uno stato di pace con l’altro, non si potrà entrare nel sonno, ossia nel mondo spirituale, prima di aver condiviso, compreso e colmato il momento di caduta o di sofferenza dell’altro. Non si può dormire se un fratello è nel dolore o nel buio. Ogni giorno, quando è sera, l’anima deve trovare la pace che la condurrà ai mondi spirituali da cui attingere le forze buone per il giorno nuovo che verrà.
Ogni disputa, ogni critica o opinione contrastante dovrebbe avere nel suo esprimersi la natura del rispetto e come tale il confronto costruttivo e creativo. Ogni rigidità dovrebbe sciogliersi in coerenza, ogni opinione certa forgiarsi in integrità, ogni dubbio in apertura verso nuove possibilità.
Fratellanza infine è affinità fusionale con tutto ciò che esiste. Non sono meno fratelli degli uomini gli animali, con il loro immenso servizio alla vita, con il loro sacrificio che li ha sottratti di un gradino all’evoluzione umana, e tutto questo per amore. Non lo è la natura tutta, il profumo di un fiore, il canto segreto di una pietra.
Fratelli, compagni, amici nel cammino verso il Sole, sono tutte le creature, visibili e invisibili, che vivono con noi e per noi. Un abbraccio di gioia infinita va rivolto a loro e un’altrettanta infinita gratitudine.
Gratitudine:
Una delle lacune più profonde della società di oggi è la mancanza di gratitudine. Credo che non ci sia mai stata nel passato una leggerezza nel dimenticare ciò che ci è stato donato, quale quella che esiste oggi. Non ci si ricorda più di ciò che si è avuto dalla famiglia, dagli amici, da chi ci ha preceduto su questa terra, da chi ha lavorato sodo perché il mondo potesse progredire, da chi ha offerto per questo la propria vita. Ci si dimentica di un Dio Padre e Madre Creatori. E più spesso ancora, una volta raggiunto un certo benessere o una certa posizione, ci si dimentica di chi, un certo giorno, ci ha prestato del denaro, ci ha accudito i figli, ci ha tenuto il cane, ci ha presentato un amico che ci ha offerto un lavoro… Sembra smarrita la facoltà del ricordo. Si dà per scontato che il bene ricevuto non debba essere ricambiato.
La tristezza e l’amarezza di questo egoismo-materialismo che imprigiona l’anima e rende miope lo sguardo, è quanto dev’essere superato nella vita di Comunità. Soltanto con un “grazie”, un grazie profondo del cuore si può risorgere al senso della vita e a quello dei nostri fratelli. Un grazie pronunciato in verità e riconosciuto quale sentimento avvolgente e amorevole verso tutto quanto ci è dato un grazie che vincendo l’orgoglio e la superficialità faccia palpitare l’autentica umiltà del riconoscere quanto siamo debitori a tutto ciò che esiste, un grazie che sgorghi dalla devozione.
Se coltiviamo una gratitudine silenziosa nell’anima, essa ci inonda come fresca acqua buona, nutre chiunque ci vive accanto, sia esso uomo o animale o essere elementare, o angelo o Madre. Essa è la disposizione all’accoglienza, la vittoria sull’ego, la moralità espressa in un sincero sorriso. Nella vita di Comunità, la gratitudine è il lievito che la fa crescere e prosperare, nutrendo ogni giorno il tendersi delle mani in aiuto scambievole.
Nello sguardo di chi ha fatto della gratitudine sostanza di se stesso, è presente una sorta di inattaccabile serenità che avvolge l’altro come speranza, speranza come certezza, certezza come sicurezza nell’oggi e nel futuro.
La gratitudine si congiunge con l’amore, in quanto nella sua essenza più profonda, è proprio come l’amore “senza morte” (a-mors). Essa crea quindi la via dell’eterno dentro l’anima singola e dentro l’anima della Comunità e sarà inattaccabile da qualsiasi forza ostacolatrice.
Perdono:
Il perdono è probabilmente il valore più elevato da raggiungere perché l’amore possa dirsi completo. Esso richiede la remissione della colpa propria e altrui nelle mani del Giudice supremo, ma va oltre ancora, in quanto facendo un dono (per-dono) a chi ha commesso una mancanza, riporta in equilibrio ciò che aveva creato disarmonia e libera le Potenze Superiori dal compito di creare nelle future esistenze umane un pareggio. Così libera dal karma sia l’individuo che ha commesso una mancanza, sia tutta l’umanità, perché, come sappiamo, siamo tutti uniti, e all’avanzare di uno corrisponde l’avanzare di molti, così come al retrocedere di uno corrisponde il retrocedere di molti, oppure un maggior sforzo da parte degli altri per tornare all’equilibrio.
Sul piano concreto ciò non significa che chi ha sbagliato non debba porre rimedio al suo errore e chi “cade” debba essere lasciato perseverare nella caduta. Chi cade va reso consapevole della sua debolezza e delle conseguenze che questa comporta, chi sbaglia va aiutato a rimediare ai suoi errori.
Perdonare non è lasciare irrompere l’ingiustizia nella vita comunitaria, che rischierebbe di creare fratture, malessere, rivalsa e rancore. No. Chi sbaglia va aiutato con comprensione a prendere coscienza e a rimediare.
Ma il perdono è cosa diversa. Esso appartiene al luogo più recondito del cuore, esso è l’intima compassione (cioè il “patire con”), é la pace silenziosa che si dona a chi è nella colpa o nell’errore poiché questi è ancora nella prigionia di se stesso.
Il perdono non ha confini. Si può perdonare a piccole colpe, come a colpe gravi, l’anelito interiore è lo stesso: è la comprensione-compassione per il limite dell’altro, per la sua sconfitta nell’aver ceduto al male.
Il perdono presuppone il coltivare un flusso di luce amorevole che scorre dal proprio cuore al cuore intristito di colui che ha sbagliato, ma contemporaneamente uno scorrere verso il proprio stesso cuore.
“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ciò significa che nel momento in cui noi perdoniamo gli altri anche noi saremo perdonati. Significa che anche verso noi stessi non esiste più colpa, quel sentimento che rende cupa la vita, perché intriso del giudizio severo verso noi stessi che abbiamo sedimentato fin da bambini. Ti perdono, mi perdono, lascio andare tutto ciò che è male e mi oriento verso il bene. Il mondo spirituale avanza nell’evoluzione assieme all’uomo, ogni volta che si verifica un atto di sincero perdono.
Ogni perdono è un seme evolutivo che s’aggiunge alle forze evolutive presenti nell’universo. E naturalmente s’aggiunge all’evoluzione della Comunità dove esso si verifica. “Distingui il peccato dal peccatore” è la sua massima, e ancora oltre stanno le sublimi parole: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Il riconoscere la mancanza di conoscenza-consapevolezza-coscienza da parte di coloro che ci hanno ferito, o di coloro che hanno sbagliato, il loro non sapere in quel momento ciò che hanno fatto e ciò che sono, è quanto ci può aiutare ad arrivare al perdono.
Chi fa ciò che è male non è altro che vittima delle Forze del Male. E quanto più abbisogna di comprensione e compassione, tanto più è necessario, per chi presenta una coscienza più elevata, che intimamente perdoni perché quel male possa chiudere la sua azione e lasciare posto al bene.
Naturalmente questo esclude totalmente orgoglio e vanità nel perdono, cosa che purtroppo a volte accade. È preferibile un perdono sofferto che non la banale superiorità di chi si volge da un’altra parte con una stretta di spalle, perché colui che è caduto è troppo misero per meritare il travaglio che il processo del perdonare a volte richiede. Il vero perdono è l’autentico, sincero, umile lasciar andare il contenuto dell’azione riprovevole con una benedizione e una pace totale nell’anima.
Questo richiede il superamento totale delle insidie dell’ego, ma porta doni meravigliosi. Quando si è superato se stessi, si è totalmente disposti all’altro.
Nella vita di una Comunità sana, non può mancare nei singoli individui la matura capacità di perdonare. Assieme alla fratellanza e alla gratitudine, essa ne feconda i fili che tessono da anima ad anima e protegge al suo interno tutto ciò che opera nel bene, avvolgendo l’individualità degli esseri in un unico grande cammino verso la destinazione della Terra.
Note:
[1] Tale studio è dello scienziato russo Kessler, e viene citato da Rudolf Steiner nella conferenza “La fratellanza e la lotta per l’esistenza”, da Gli enigmi dell’Universo e l’Antroposofia, O.O. n. 54.
[2] Rudolf Steiner, dalla conferenza sopra citata.
La natura psicospirituale della Comunità
(parte prima)
Tratto dal libro: “L’Impulso Femminile per i Tempi Nuovi”
Oggi si sente spesso parlare di Comunità, quale possibilità di un nuovo modo di vivere e di realizzare l’aspirazione più alta a cui l’umanità può tendere.
Ma come possiamo accostarci timidamente a ciò che il futuro spirituale dell’umanità identifica come Comunità?
La parola Comunità o “Communitas”, è un termine composto da Cum, ossia “con”, “insieme”; e Munus, ossia “obbligo”, ma anche “funzione” o “dono”. Quindi la parola Comunità significa vivere insieme lo stesso impegno, donarsi all’ideale, compartecipare ad una progettualità, sentirsi parte di un Essere più grande, che non limita l’essere individuale, ma lo amplifica.
Il suo significato così può anche intimorire, poiché l’autentica Comunità non è quella dove ci siamo trovati inseriti per nascita, cittadinanza, cultura, religione, bensì quella che si forma quando un gruppo di persone, animate dagli stessi valori, con un intento comune, si uniscono per condividere ideali e realizzare progetti.
La sua natura più profonda è la Gioia, che costituisce anche il timore di chi vi si accosta, perché vi percepisce in essa il pericolo della fusione della propria anima con l’anima altrui.
Gesù, quando parlava, a volte si rivolgeva alla folla, altre, più rare, alla Comunità.
Nei sette “Io Sono”, ch’egli pronuncia, vi è proprio una progressione dalla folla alla Comunità, che significa anche un livello di progressione della Coscienza.[1]
Il primo Io Sono è rivolto alla folla e all’aperto.
Il secondo al popolo ebreo dentro il Tempio.
Il terzo e il quarto ad alcuni sacerdoti.
Il quinto a Marta, individualità singola.
Il sesto a Tommaso, individualità singola, discepolo.
Il settimo alla Comunità dei discepoli.[2]
Possiamo quindi vedere in queste preziose frasi che il Cristo pronuncia, il crescendo interiore dalla folla alla Comunità, passando dall’individualità. Questi “Io Sono”, che accompagnano la progressione dei vari livelli di coscienza dell’uomo, tendono come meta ultima alla Comunità, uno dei massimi valori in cui si può esprimere la Libertà nell’Amore.
La folla è la massa di persone non ancora individualizzate, è la moltitudine indistinta che segue qualcuno perché magari ha più forza e più potere trainante, e non sempre buono.
La Comunità invece è il gruppo di individui che liberamente si uniscono, spinti interiormente da un anelito o da un ideale comune. Essa è composta di individui che hanno superato l’individualismo, e che possono mettere a disposizione di altri quel “di più” che hanno maturato nella propria autorealizzazione e autoconoscenza.
Gesù parla a Comunità di pochi, poiché pochi erano, e sono ancor oggi, coloro che non temono di mettere a disposizione di altri la forza del proprio Io, coloro che non temono che la loro anima possa sentire l’anelito di un’altra anima e così accostarvisi per sentire insieme un anelito più grande.
La folla è l’informe, la Comunità è la Forma.
La folla spesso è schiava, la Comunità coltiva e matura in sé la Libertà.
La folla è la confusione, la Comunità è l’Ordine.
La folla è il vociare che si perde nel vuoto, la Comunità è la Parola che conosce la Direzione.
La folla è il noi, ma non il Noi.
La folla è l’insieme di tanti ego, la Comunità è l’insieme degli Io, raggi di Luce uniti verso l’Alto nell’Io Superiore.
La meta dell’Io Superiore è l’Amore per l’intera umanità, un Amore che si raggiunge in piena Libertà.
Cum-Munus, Comunità, è allora vivere insieme lo stesso valore, votato intimamente a se stessi e condiviso con gli altri per raggiungere uno scopo più alto.
Nella folla non può scendere un Essere Spirituale. Tale Essere ha bisogno di un calice puro, silenzioso, armonioso e accogliente, fatto di una sostanza matura spiritualmente e composta dalla maturità spirituale delle varie individualità che lo compongono.
La via del futuro è questo Calice. Esso è il frutto dell’Anima compenetrata di Spirito. Esso è il Graal della società futura, la Comunità – Coppa – Anima – Natura Femminile, dove scende lo Spirito – Fuoco – Natura Maschile.
Il futuro è in questo Calice. Nelle mani che si uniscono in amorevole scambio e dolce offerta, ma anche nella tensione dinamica che si crea nel dirigere lo sguardo verso la stessa Meta, pur mantenendo l’individualità dello sguardo. Un punto di Fuoco nel futuro, mantenuto vivo dai vari punti di vista che in esso convergono. Un elastico equilibrio che, quando la forma si tende da un lato, può contare sull’altro lato che la riporta al Centro.
La Comunità è Gioia. Se non portasse gioia all’anima non potrebbe dirsi Comunità.
Se all’interno delle persone che formano una Comunità qualcuno soffrisse a causa di un altro, l’Essere Comunità, ossia la Guida Spirituale che la sostiene, potrebbe cedere, allontanarsi.
Se qualcuno ponesse il suo ego davanti alle necessità dell’intera vita comunitaria, qualcun altro dovrebbe portarne il peso. Ogni gonfiarsi dell’ego di un individuo comporta il sacrificio di un altro individuo, pertanto l’altruismo ne è il fondamento. L’altruismo non è semplice generosità, la quale a volte nasce da una lacuna dell’anima e non dalla sua pienezza, bensì un’attitudine vissuta nella pura gioia dell’offrirsi, nel vedere l’altro e sentirlo parte integrante del proprio Sé, per cui ciò che si dà all’altro è ciò che unisce a se stessi e che libera da tutte le prigionie dell’ego.
Tale è la Comunità, quale via del futuro e per il suo alto ideale è riservata a pochi, ma quei pochi cambieranno il destino dell’umanità.
Essere altruisti, quando si è liberi interiormente, non è difficile, è facile, è dolce. Ma questo ha come base il principio della libertà interiore, libertà dell’essere e dell’esprimere, libertà di osservare in se stessi le vaste aree dell’anima, individuarne le carenze, le debolezze, le sofferenze, e poi mettersi in cammino per la trasformazione, poiché la trasformazione è la via dell’evoluzione.
Non è necessario che l’anima sia totalmente libera, ma è necessario che sia libero lo sguardo che la osserva, è necessario che lo sguardo non eviti l’ombra interiore, la ferita di cui spesso tale ombra è composta, la sua natura di bambino poco amato e poco riconosciuto, che spesso si nasconde nella prigionia della non libertà. Se lo sguardo osserva senza timori è già sulla via della libertà, e tutto può venire trasformato quando è “visto”.
Per osservare ed osservarsi senza timori è necessario essere coraggiosi. Il coraggio, quale “azione del cuore”, è un presupposto fondamentale all’autoconoscenza e alla conseguente verità che porta alla luce. Tale verità, nata dal vedere, riconoscere e lavorare al superamento delle proprie oscurità, porta alla naturale conseguenza del vedere e comprendere le difficoltà altrui. In maniera spontanea si evita il giudizio negativo, poiché si comprende come ogni giudizio espresso sugli altri è in fondo un giudicare se stessi.
Il cammino verso la Comunità è un cammino Buono, Bello e Vero, è pervaso dal sentire morale di queste qualità. Esse sono elargite dai mondi spirituali alle anime che anelano alla libertà interiore, alle anime coraggiose, alle anime che vogliono “vedere”, vedersi, scoprirsi, trasformarsi, evolvere.
La Bontà è il pane di cui una Comunità si nutre. Possiamo immaginare un’autentica Comunità come un Essere che profuma di pane fresco appena sfornato e di esso si può dire: “che buono!”
Buono è ciò che dà pace all’anima, che ne accarezza i passi anche quando sono faticosi, che avvolge il lavoro e l’impegno con ottimismo e fiducia, che conosce la luce poiché ha attraversato il buio, che conosce l’innocenza perché ha superato l’ingenuità conservandone il seme della freschezza e della meraviglia.
Buono è ciò che vuole il bene altrui. E il bene altrui cos’è? Tutto ciò che tende alla trasformazione e all’evoluzione, anche quando è un rimprovero, un punto di vista diverso, una vigilanza costante sulle mete da raggiungere. Buono non è “comodo”, buono è stimolo incessante.
Non è difficile riconoscere ciò che è Buono, poiché ognuno di noi conosce cos’è il buono per sé e può così facilmente identificarlo nel Buono per l’altro.
Data l’universalità dei valori morali, l’apertura verso i Mondi Superiori permette di riconoscere con perfetta sicurezza cosa è bene per l’altro, poiché nell’Io Superiore siamo tutti uniti, e ciò che esso imprime nell’individualità è della stessa sostanza di ciò che viene impresso nell’umanità intera, purché lo si voglia accogliere.
Buono è lo sguardo che mentre va verso il basso s’innalza. Così, mentre si guarda con tenerezza alla fragilità di un bambino, al dono d’amore incondizionato che ci danno gli animali, alla fresca pace che ci offrono piante ed erbe, alla sicurezza di sassi e rocce dove i nostri piedi affondano in totale fiducia, mentre si guarda a tutto questo con gratitudine e profonda accoglienza, la Bontà prende forma nel cuore.
La venerazione per ciò che sta sotto di noi, sviluppa la devozione per ciò che sta sopra di noi. In equilibrio tra Terra e Cielo, noi troviamo il Centro di noi stessi. Il centro di noi stessi, che abita nel cuore, è collegato al centro di ogni altro cuore. E ogni cuore forma il grande cuore dell’unione raggiunta.
Buona è l’amicizia scherzosa e gioiosa.
Buona è la condivisione degli sforzi e delle lacrime.
Buono è il sorriso che nasce dall’anima e che inonda il viso e lo sguardo.
Buona è la mano che si dona quale piccola coppa dove la sostanza dell’altro può riversarsi.
Buona è l’attenzione alle parole dette dall’altro e a quelle che giacciono ancora inespresse.
Buone sono le carezze non richieste, gli abbracci non cercati, le parole consolatrici al momento giusto, i sentimenti amorevoli, i pensieri puri, la volontà accesa.
Buono è tutto ciò che l’anima umana può, nella sua propria esperienza, riconoscere come intima Pace.
La Bellezza si potrebbe definire come il pulsare del cuore.
Se la Bontà è l’espressione vivente del cuore, la Bellezza ne è il suo fondamento.
Ogni piccolo bambino, per dire che un’azione è buona, dice che è bella; per dire che è cattiva, dice che è brutta. Il legame profondo tra i due valori morali è così chiaro ad un bimbo di due anni, quanto spesso dimenticato dall’adulto. Ma facendo un po’ di attenzione non si può forse dire che un gesto buono sia in sé anche bello? Di quanto si può dire della Bontà, si può dire anche della Bellezza. Così, se è buono un sorriso, esso è anche bello, se è buona una carezza, essa è anche bella, e così è per ogni altro gesto o fatto o situazione. La differenza è che la Bontà presuppone qualcosa che entra in azione, ed è quindi maggiormente legata alla volontà, mentre la Bellezza ha un aspetto più ricettivo e contemplativo.
La Bellezza viene a noi come nutrimento dell’anima, il cui unico atto è quello di disporsi ad accoglierla, mentre la Bontà, la buona azione, va nella direzione del “farsi accogliere”.
Nel guardare, nel sentire, nel vivere ciò che è bello l’anima trova quiete, poiché la Bellezza è fondamentalmente armonia, e l’armonia è in relazione con il ritmo, con il pulsare del cuore e dei polmoni, con l’alternarsi di inspiro ed espiro, di contrazione ed espansione.
Non è bello ciò che è dissonante, quindi fuori suono, fuori ritmo, fuori armonia. Nel vivere il ritmo, nello sperimentare l’armonia, si forma nell’anima il calice della Bellezza, specchio della magnificente Bellezza Celeste, e il suo tocco è così delicato e profondo che mette ali all’anima.
Un’anima nobilitata attraverso la Bellezza diventa sempre più fine nel sentire, sempre più sensibile alle innumerevoli sfumature della vita, e pertanto disposta ad accoglierle sia in se stessa che negli altri.
L’attenzione “buona” verso tutto ciò che vive non può che osservarne la bellezza infinita, in ogni forma ed in ogni colore, udirla in ogni suono e in ogni silenzio, respirarla, sfiorarla in tutto ciò che ci è donato da Dio o da ciò che ci è donato dall’uomo quando rispetti il principio del ritmo-armonia.
Nel contemplare la Bellezza lo sguardo si placa e una sottile intima vibrazione fa trovare all’anima la pace del ritorno a sé. Il battito del cuore e dei polmoni ne fa da sostegno. Nell’anima permeata di Bellezza non può esserci posto per nulla di scortese e di egoistico, poiché essa è nell’equilibrio di se stessa e nell’unirsi ad altre anime non può che manifestarsi nel medesimo equilibrio.
In equilibrio sta anche il luogo fisico in cui essa abita: il centro del corpo, equilibrio tra alto e basso, tra pensiero e volontà, tra cielo e terra.
Nel mondo del sentire, la Bellezza rivela al sentimento la sua più autentica origine.
Contemplare il Bello assieme ad altri ne potenzia il valore e la profonda calma che contiene in sé. La Bellezza avvolge il gruppo come un lieve involucro aureo che lo culla nella dolcezza.
La Verità si unisce alla Bontà e alla Bellezza in maniera indivisibile. Ciò che è Buono e Bello è anche Vero, la menzogna o l’inganno non possono esistere, in quanto produrrebbero immediatamente assenza di Bontà e Bellezza.
La Verità sorge sulla Bontà, si espande nella Bellezza e si manifesta nel pensiero, immergendolo nella forza del retto giudizio, una capacità che non lascia spazio ad ambiguità o fraintendimenti.
A volte può sembrare che il Vero possa scostarsi dal Buono. Infatti, si dice che la Verità può far male. Ma questo può essere solo l’effetto temporaneo della Verità, poiché essa, nel suo più ampio significato e nel giusto tempo, non può che congiungersi con la Bontà, in quanto ha la potenzialità di riportare ordine in ogni cosa, e questo alla fine non può che rivelarsi Buono e Bello.
L’apparente freddezza del pensiero viene così riscaldata da ciò che abita nel cuore come Bellezza e si esprime nelle azioni come Bontà. Il pensare diviene allora capace di riconoscere con immediatezza il falso dal vero, prima di ogni parola e di ogni spiegazione, poiché la Verità vive di luce propria, della luce che proviene dall’Io Superiore e che accomuna tutti gli esseri.
Essere veri con se stessi è il primo grande passo per essere veri con gli altri. Il saper guardarsi dentro con Verità, senza autoinganni, senza rimozioni o negazioni di ciò che vive nell’anima, senza giustificazioni, senza paura e senza colpa; guardarsi nella nudità del Vero porta a grande libertà interiore e permette di riconoscere la Verità nell’altro e nelle varie situazioni della vita.
La Verità è la Via che porta alla Vita. E la Vita, per essere tale, non può che sostanziarsi di Verità. Colui che parlò di queste qualità dell’Io Sono, indicò con chiarezza come senza Verità non sia possibile la Libertà, e senza Libertà non sia possibile l’Amore, e senza l’Amore non sia possibile la Comunità, l’unione di anime nel futuro.
Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv. 8,32).
Come sono ampie, profonde e infinite queste parole! E tuttavia muovono dalla semplicità dell’essere autentici con se stessi, di dire sempre la Verità agli altri, di dire sempre la Verità a se stessi.
Colui che vive nella Verità, prima o poi avrà accesso anche alle Verità più grandi, poiché esse gli risuoneranno nell’anima. La purezza dei sentimenti, dei pensieri e delle azioni conduce in modo naturale la Verità a trovar spazio all’interno e all’esterno di sé. E la Luce che brilla nella Verità di ognuno diventa Luce anche per l’altro e una via d’elezione per l’evoluzione.
[1] Tratto dalla rivista Die Christengemeinschaft, San Giovanni 2021, articolo di Jean Christophe Demarais: I sette “Io Sono”.
[2] 1:“Io sono il pane di vita” (Gv 6,35);
2:“Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12);
3: “Io sono la porta” (Gv 10,9);
4: “Io sono il buon pastore” (Gv 10,11);
5: “Io sono la resurrezione e la vita” (Gv 11,25);
6: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6);
7: “Io sono la vera vite” (Gv 15,1).